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Con una recente pronuncia la Corte di Cassazione (sentenza n. 28398/2022) ha fornito una risposta a una questione di grande attualità: un soggetto può registrare di nascosto le conversazioni allo scopo di tutelare un proprio diritto in giudizio.

La vicenda processuale nasce da una pronuncia della Corte d’appello di Salerno che non ha ritenuto sussistente il carattere ritorsivo di un licenziamento stante la totale assenza di elementi probatori a sostegno di tale affermazione, in quanto le registrazioni delle conversazioni tra colleghi raccolte dal lavoratore erano da considerarsi abusive e illegittime e pertanto non idonee a costituire fonte di prova.

La Cassazione ha censurato la sentenza di secondo grado, evidenziando che la stessa non ha in alcun modo indagato sulla sussistenza dei requisiti atti a far ritenere legittime, a fini di prova, le registrazioni di conversazioni tra presenti.

Inoltre, ha precisato che i giudici della Corte d’Appello non hanno sottoposto a bilanciamento i diritti coinvolti, ovvero il diritto alla difesa e il diritto alla riservatezza.

Pertanto, la Corte ha affermato che la registrazione di una conversazione tra presenti, in assenza di consenso e allo scopo di precostituirsi una prova giudiziale, è legittima stante la prevalenza, nel bilanciamento dei diritti, del diritto alla difesa sul diritto alla riservatezza non dovendo ritenersi il diritto alla difesa circoscritto alla sola sede processuale, ma estendendosi ad ogni fatto ed atto teso ad acquisire prove anche precostituite utilizzabili in giudizio.

In linea con il proprio precedente orientamento, la Corte di Cassazione – con la sentenza Sez. Lavoro, 29.9.2022, n. 28398, ha recentemente ribadito che Il lavoratore può registrare di nascosto le conversazioni con i colleghi per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda.

Non serve, in particolare, il consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati – come l’audio acquisito da un ignaro interlocutore – serve a precostituirsi un mezzo di prova, magari contro il datore: ciò purché l’utilizzo dell’ audio non vada oltre le finalità della tesi difensiva e, dunque, le necessità del legittimo esercizio di un diritto.

Secondo la Corte, in particolare, il diritto alla difesa prevale su quello alla privacy, dovendosi estendere tale diritto di difesa a tutte le attività dirette ad acquisire elementi di prova utilizzabili in giudizio, anche prima che la controversia sia instaurata in modo formale.

In linea con il proprio precedente orientamento, la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che Il lavoratore può registrare di nascosto le conversazioni con i colleghi per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda.

Non serve, in particolare, il consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati – come l’audio acquisito da un ignaro interlocutore – serve a precostituirsi un mezzo di prova, magari contro il datore: ciò purché l’utilizzo dell’audio non vada oltre le finalità della tesi difensiva e, dunque, le necessità del legittimo esercizio di un diritto.

Secondo la Corte, in particolare, il diritto alla difesa prevale su quello alla privacy, dovendosi estendere tale diritto di difesa a tutte le attività dirette ad acquisire elementi di prova utilizzabili in giudizio, anche prima che la controversia sia instaurata in modo formale.

Per il lavoratore che si appropri illegittimamente dei dati aziendali sono configurabili quattro diversi profili di rischio: il rischio disciplinare, quello civilistico, quello penalistico e quello per violazione della privacy.

Disciplinare: il lavoratore che “ruba” i dati aziendali commette, in primo luogo, un illecito disciplinare, disattendendo gli obblighi connessi al rapporto di lavoro dipendente. Nel rapporto di lavoro l’accesso alle informazioni aziendali è consentito solo per lo svolgimento delle mansioni lavorative e nei limiti delle stesse. Il lavoratore che acquisisce e utilizza i dati aziendali per scopi diversi dallo svolgimento delle mansioni lavorative commette, quindi, un illecito disciplinare, tale da determinare, nei casi più gravi, la sanzione della risoluzione del rapporto di lavoro.

Civilistico: dall’inadempimento agli obblighi connessi al contratto di lavoro può conseguire la richiesta di risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro per effetto della condotta del lavoratore, in termini sia di danno emergente, sia di lucro cessante. Ove, poi, con l’appropriazione e l’utilizzo dei dati il lavoratore abbia posto in essere manovre concorrenziali fraudolente, potrà essere contestato allo stesso il compimento di atti di concorrenza sleale, con le inerenti conseguenze risarcitorie.

Penale: il lavoratore che si appropri e utilizzi illegittimamente dati aziendali può porre essere condotte di rilievo penale. Tra i reati in astratto configurabili in capo al lavoratore vi sono, tra l’altro, i reati di: i) spionaggio industriale; ii) accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico; iii) trattamento illecito di dati; iv) comunicazione e diffusione illecita di dati personali oggetto di trattamento su larga scala; v) di acquisizione fraudolenta di dati personali oggetto di trattamento su larga scala.

Privacy: il lavoratore che “tratti” illecitamente i dati aziendali è soggetto alle sanzioni amministrative del Garante per la violazione degli obblighi previsti dalla disciplina sulla protezione dei dati personali.

Il profilo “privacy”, tuttavia, può rappresentare per il datore di lavoro un’arma a doppio taglio.

Se, infatti, un dipendente asporta dati aziendali che rappresentano anche dati personali (ad esempio la lista anagrafica dei clienti) il fatto che tali dati siano stati trafugati può implicare una cattiva organizzazione aziendale, con conseguente responsabilità anche del datore di lavoro

L’estrazione illecita di dati personali integra, infatti, la fattispecie della “violazione dei dati” (c.d. data breach) di cui agli artt. 33 e 34 Reg. UE 2016/679. Questo obbliga il datore di lavoro ad autodenunciare l’accaduto al Garante della privacy (notificazione del data breach) e a darne notizia (comunicazione) agli interessati.

L’omissione di questi due obblighi comporta l’esposizione a una sanzione pecuniaria irrogata dal Garante della privacy (art. 33, 34 e 83 Regolamento Ue 2016/679). Se, poi, gli interessati sono i clienti dell’azienda il datore potrà incorrere in ulteriori danni all’immagine.

Sotto tale profilo assume, pertanto, importanza fondamentale la predisposizione di un sistema di gestione dei dati che oltre a limitare i rischi di utilizzo improprio degli stessi, contempli specifiche procedure da porre in essere in casi di data breach al fine di arginare immediatamente eventuali violazioni della riservatezza.